a cura di Vittoria Romani
Firenze, Casa Buonarroti, 30 settembre 2003 – 12 gennaio 2004
“…mi trovo sì tribulato per esser privo di tanto consiglio e dolceza insieme. Certo ch’io giudicavo dovermi dolere molto la morte d’un tanto padrone e padre, ma non mai tanto, come fa…”. Il tono accorato con cui Daniele da Volterra esprimeva a Giorgio Vasari, all’indomani della morte di Michelangelo, dimostra quanto fosse stato lungo e profondo il legame che lo aveva unito al Maestro. La sua devozione sarebbe rimasta immutata anche dopo la scomparsa del grande amico. Non a caso proprio a Daniele Leonardo Buonarroti, nipote prediletto ed erede, avrebbe dato l’incarico di trarre dalla maschera funebre di Michelangelo un “ritratto di metallo”; su Daniele, in seguito alla decisione del Concilio di Trento, cadde nel 1565, un anno appena dopo la morte di Michelangelo, un compito ingrato: quello di mettere le “braghe” ai nudi ritenuti osceni del Giudizio Finale della Cappella Sistina. L’opera aveva rischiato la distruzione totale, ma la fama ormai sovrumana di Michelangelo fece sì che il danno si limitasse alla copertura delle nudità e alla distruzione e rifacimento di qualche figura. L’intervento di Daniele da Volterra, destinato a pesare ingiustamente nella memoria futura dell’artista, contribuì invece al salvataggio del capolavoro.
Il progetto della mostra non perde di vista il significato profondo del rapporto di amicizia tra Michelangelo e Daniele, ma intende anche delineare la complessa personalità di quest’ultimo, pittore di alto e interessante livello, la cui fama troppo a lungo è rimasta schiacciata dalla stretta vicinanza col genio del Buonarroti. L’artista esordì nell’ambito senese, e alla fine degli anni trenta del Cinquecento si trasferì a Roma, dove collaborò con Perin del Vaga. Emerse infine a statura di protagonista negli anni che seguono lo scoprimento del Giudizio Finale, nel clima fervido di iniziative artistiche del papato di Paolo III Farnese. Pittore, decoratore a stucco e ad affresco, ritrattista e scultore, responsabile di cantieri di prestigio, Daniele da Volterra non è stato ancora protagonista unico di iniziative espositive. Anche per questo, la mostra della Casa Buonarroti costituirà una vera e propria scoperta.
Si prende l’avvio dalla ricostruzione del ciclo di affreschi della Cappella Orsini nella chiesa romana di Trinità dei Monti (1542-1548 circa). Di questo fondamentale ciclo oggi sopravvive soltanto il capolavoro con la Deposizione, che a lungo si è supposto eseguito su cartone di Michelangelo. Attraverso una scelta di disegni preparatori e di stampe, provenienti in gran parte dal Louvre, si presenta in mostra questo complesso d’importanza fondamentale per le vicende pittoriche di metà Cinquecento, nel quale Daniele è tra i primi a confrontarsi con le sconcertanti novità michelangiolesche del Giudizio e degli affreschi della Cappella Paolina in Vaticano. La riflessione sulla “terribilità” del linguaggio tardo di Michelangelo procede con rigore, coerenza e originalità nella decorazione della Cappella Della Rovere, sempre in Trinità dei Monti, a partire dal 1549. In questo caso la conoscenza del complesso degli affreschi è affidata alla splendida tavola con la Strage degli innocenti, proveniente dalla Tribuna della Galleria degli Uffizi, replica autografa dell’affresco di Trinità dei Monti; oltre che ad una serie di disegni preparatori, per i quali si attinge soprattutto alle collezioni del British Museum e del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi. La ricerca di un linguaggio sempre più monumentale culmina nell’affresco con l’Assunzione della Vergine, dove a un Apostolo Daniele conferisce il volto di Michelangelo: ne dà testimonianza in mostra il celebre cartone preparatorio, emozionante ritratto, conservato nelle collezioni del Teylers Museum di Haarlem.
Si riesce ad apprezzare al massimo livello la pittura di Daniele in questa fase attraverso la visione congiunta della imponente Pala di Ulignano, con la Madonna con il Bambino e Santi, proveniente dal Museo Diocesano di Volterra, e di due grandi dipinti, l’Elia nel deserto e la Madonna con il Bambino e Santi della collezione d’Elci di Siena: rara opportunità di ammirare questi tre capolavori, che da sola giustifica la mostra.
Intorno alla metà del sesto decennio Michelangelo fornì a Daniele alcuni disegni d’invenzione, destinati a una serie di dipinti per monsignor Giovanni Della Casa, l’autore del celebre Galateo. Di queste opere, si potrà ammirare in mostra la grande tela della Pinacoteca Capitolina con San Giovanni Battista, messa a confronto con il foglio michelangiolesco della Casa Buonarroti che ne è all’origine, e alcuni disegni di Michelangelo e di Daniele per il dipinto perduto Enea e Didone.
Non ebbe invece esito felice la collaborazione tra i due artisti per il monumento equestre in memoria di Enrico II di Francia, commissionato nel 1559 dalla vedova del re, Caterina de’ Medici, a Michelangelo, ma da questi affidato a Daniele: l’artista riuscì a condurre a termine soltanto la fusione del cavallo, e gli imprevisti e le difficoltà dell’opera gli procurarono dispiaceri e disagi tali da portarlo alla morte. La sua attività di scultore, ancora poco studiata, viene rievocata in mostra, oltre che da un’incisione cinquecentesca che riproduce il cavallo bronzeo, dal busto marmoreo di Orazio Piatesi, conservato nella chiesa di San Gaetano a Firenze, e da due fusioni del ritratto di Michelangelo, provenienti dalle collezioni della Casa Buonarroti e del Museo Jacquemart-André.