Speculum Romanae Magnificentiae
Roma nell’incisione del Cinquecento
a cura di Stefano Corsi e Pina Ragionieri
Firenze, Casa Buonarroti, 6 giugno – 26 agosto 2018
“Come ogniuno, cortesissimi lettori, ha caro di conseguitare il fine, per il quale egli s’affatica, e fa quanto sà e quanto può; perciò simigliatamente io havendo fatto già longo tempo impresa di far stampare in servigio e piacere de virtuosi assai descrittioni, dissegni, e rittratti in carte spicciolate, e in libri intieri di diverse e notabili opere antiche, e moderne; mi son risoluto per colmo della commodità di chi se ne diletta, a raccorne e stamparne un breve stratto e indice. Per mezzo del quale ciascuno possa a suo piacimento haver notitia di tutta l’industria nostra, e valersene o di tutta, o di parte secondo che più gli aggradisca”.
Così Antonio Lafréry, editore, incisore e mercante francese presentava, intorno al 1573, l’indice di ciò che poteva essere acquistato nella sua stamperia romana di via del Parione, nel momento di massimo successo della propria attività. Si trattava di circa cinquecento pezzi, divisi in cinque sezioni, che andavano dalle incisioni con soggetti tratti dal Vecchio e Nuovo Testamento a quelle riproducenti edifici moderni, ritratti e medaglie, con una netta predominanza, però, di fogli dedicati ai monumenti e alle statue di Roma antica. Viaggiatori, antiquari, collezionisti ed eruditi commissionavano alla stamperia al Parione raccolte di incisioni che diedero luogo a veri e propri volumi che cominciarono a diffondersi già dalla fine degli anni cinquanta e che a partire dai primi anni settanta assunsero il titolo di Speculum Romanae Magnificentiae.
Un’impresa nuova nel suo genere, ma che prendeva avvio da altri repertori grafici, come il Codex Escurialensis di fine Quattrocento e gli studi dall’antico di Raffaello e bottega, di Maarten van Heemskerck, di Francisco de Hollanda.
L’origine di questa importante iniziativa editoriale si può datare molti anni prima, quando il milanese Antonio Salamanca cominciò, a partire dal 1528, a rieditare col proprio indirizzo tutti i “rami” che riuscì a rintracciare; e ne eseguì anche di nuovi, dando vita a una ricca produzione di incisioni prevalentemente di soggetto archeologico. A partire dal 1553 il Salamanca si associò con Antonio Lafréry, attivo a Roma sin dal 1544, e con lui rimase per diciotto anni, cioè fino alla morte. Il figlio del Salamanca, Francesco, decise di porre fine alla società; ma il Lafréry proseguì da solo, con straordinario successo. Seguirono le sue orme, anche se non più con la fortuna del fondatore, il nipote Claude Duchet e il cognato di questo, Giacomo Gherardi. Una parte dell’eredità andò anche al pronipote Etienne Duchet, che cedette le lastre a Paolo Graziani, unitosi poi a sua volta a Pietro de’ Nobili.
Ogni esemplare dello Speculum si presenta dunque come un’opera a sé, non solo per la varietà del numero di fogli e soggetti contenuti, ma anche per la molteplicità degli stampatori ed incisori che firmano i vari pezzi. Il Lafréry infatti non incluse nella sua produzione solo elementi stampati nella propria bottega, ma anche lavori di altri stampatori, sia romani che veneziani. A ricostruzioni di architetture antiche minuziose e particolareggiate, eseguite con estremo rigore scientifico, se ne alternano altre nelle quali il monumento risente della sensibilità dell’incisore. A opere riprodotte con evidenti scopi didascalici e per le quali si precisa luogo di ritrovamento e collezione di provenienza se ne affiancano altre, che si presentano invece come invenzioni moderne, con vaghe reminiscenze dell’arte classica tratte da disegni di artisti più o meno famosi.
La Casa Buonarroti possiede un ottimo esemplare dello Speculum costituito da ottantaquattro incisioni (molte quelle michelangiolesche), cinquantadue delle quali si potranno ammirare in questa mostra, con soggetti che vanno dagli edifici antichi e moderni alle statue e rilievi romani.
Mostra e catalogo riprendono l’esposizione che si tenne in Casa Buonarroti dal 23 ottobre 2004 al 2 maggio 2005, e sono dedicati, come la Sala archeologica del museo, alla memoria di Stefano Corsi, scomparso in giovane età nel 2007.