I discendenti di Michelangelo, devoti alla memoria del grande avo, di lui raccolsero e conservarono nei secoli nella dimora di famiglia, situata nel centro storico di Firenze, in via Ghibellina, opere d’arte, autografi, documenti: una storia da ripercorrere nell’occasione del centocinquantesimo anniversario dell’apertura al pubblico del Museo della Casa Buonarroti.
Un documento già noto a Gaetano Milanesi e riproposto nel 1965 da Ugo Procacci testimonia che il 3 marzo 1508 Michelangelo acquistò tre case e una casetta tra via Ghibellina e via Santa Maria (poi via dei Marmi sudici e ora via Michelangiolo Buonarroti). Un’altra piccola casa contigua fu acquistata nell’aprile del 1514 dall’artista, che nelle due abitazioni meno anguste del piccolo complesso abitò dal 1516 al 1525, anno in cui si trasferì nel quartiere di San Lorenzo. Fin dal 1516 era infatti impegnato negli interventi per la fabbrica di San Lorenzo: il progetto della facciata della basilica, come si sa rimasto inattuato, la Sagrestia Nuova e la Biblioteca Laurenziana. A partire dal 1525, le case di via Ghibellina risultano tutte e cinque affittate.
Michelangelo vive altrove; tuttavia, una preoccupazione costante, perfino ossessiva si ricava dal suo carteggio, specialmente dopo il trasferimento definitivo a Roma nel 1534: quella di affidare per il tempo a venire il nome della propria famiglia a un edificio in Firenze che corrisponda al concetto da lui stesso racchiuso nell’espressione “casa onorevole nella città”. Un risultato apprezzabile non fu ottenuto vivente Michelangelo; e si dovette giungere al 1590 perché il discontinuo interesse del nipote Leonardo, unico erede, approdasse al palazzo di famiglia lungamente ambito dal grande zio.
La fase più significativa fu segnata però dall’opera di uno dei figli di Leonardo, Michelangelo Buonarroti il Giovane, personaggio di grande spicco nel panorama culturale della Firenze della prima metà del Seicento. Questo memore pronipote ampliò il fondo immobiliare; e fu per suo impulso che l’edificio assunse la fisionomia, non solo esterna, che tuttora conserva. Morì nel 1647, compianto, come scrisse il Baldinucci, “non solo da tutti i virtuosi, ma eziandio da tutta la città, a cui erano ben note le sue rare qualità”.
All’inizio del secolo XVIII la proprietà tocca, per la sua grande rinomanza e non per diritto di primogenitura, a Filippo Buonarroti, presidente dell’Accademia Etrusca di Cortona, membro dell’Accademia della Crusca, erudito e archeologo di valore. Filippo arricchisce le raccolte familiari con numerose opere etrusche e romane; con lui la Casa torna ad essere, come ai tempi di Michelangelo il Giovane, meta di visitatori illustri, e vive la sua estrema stagione di splendore.
Furono invece anni davvero difficili per il palazzo e per la famiglia quelli a cavallo fra Settecento e Ottocento: nel 1799 il presidio austriaco che governava Firenze decretò la confisca del patrimonio Buonarroti, che fu assegnato all’Ospedale di Santa Maria Nuova. Si giungeva a questo perché l’erede legittimo, il famoso Filippo (1761-1837), rivoluzionario e seguace di Robespierre, era da anni esule in Francia, e per di più in attesa di essere deportato come uno dei protagonisti della Congiura degli Eguali di Babeuf (1796).
Fu con ogni probabilità l’avveduto comportamento della moglie di Filippo, la contessa Elisabetta Conti, a far sì che la proprietà venisse nuovamente assegnata alla famiglia. Nel 1812 infattl il figlio primogenito di Filippo, Cosimo Buonarroti, futuro ministro dell’istruzione pubblica nel governo granducale, riusciva a riprendere possesso del palazzo di via Ghibellina, degradato ormai a tal punto da essere divenuto, come testimonia un documento del tempo, “quasi un abituro della più abbietta classe del popolo”. Dopo rilevanti restauri, Cosimo prese dimora nella Casa, nella quale portò come sua sposa, nel 1846, la nobildonna anglo-veneziana Rosina Vendramin, che si dedicò con passione alle memorie familiari.
Il testamento di Cosimo lasciava al godimento pubblico il palazzo di via Ghibellina con tutti i suoi preziosi contenuti; ma alla sua morte, avvenuta nel 1858, pur non essendoci eredi diretti, la consegna della Casa alla città di Firenze avvenne con pesanti contrasti da parte degli eredi indiretti. La costituzione in ente morale fu perciò decretata soltanto l’anno seguente dal granduca Leopoldo II di Lorena, appena un giorno prima di quel 27 aprile in cui lasciò per sempre Firenze. L’atto definitivo porta infatti la data del 28 aprile 1859; e già reca l’intestazione “sotto il regime del governo provvisorio toscano”.